Sturmtruppen

Gromit guida con grande determinazione il gruppo tra Cappelletta e vetta del Ramceto


Il dibattito inizia a metà settimana. Io posso solo la domenica.  Il tempo, però, è meglio sabato.  "Non rinunciate per i miei impegni, ci vediamo alla prossima." L., che è pure lui impegnato al sabato, si dice disponibile, se non troppo stanco, a un giretto domenicale di basso profilo. Si aggiunge poi A., che non si è mosso al sabato causa tardiva convocazione. Con una telefonata decidiamo per il Ramaceto con una partenza un po’ da cialtroni (le 8 del mattino, ora solare, da Recco).

Spinarola, acquisto panetti a Favale, Scoglina, Ventarola. Scesi dalla macchina, completiamo il setup e ci mettiamo in cammino. Di fronte noi, nella strettoia tra le case, un gruppo di uomini in divisa blocca la mulattiera. Essendo tutti clamorosamente miopi, cominciano a fioccare le ipotesi più bislacche: “sono cacciatori, ci sarà una battuta al cinghiale”.  Dieci metri e mettiamo a fuoco meglio, sui maglioni compaiono gradi e mostrine. “Sono i guardaparco”. “Ma è parco, qui?” “Mannò, dai, non vedi che è la forestale?” Quando siamo praticamente nel bel mezzo di questo Checkpoint Charlie appenninico, spunta da dietro il muro un tipo in perfetta divisa Wehrmacht, fucile FG42 e bandoliera di proiettili Mauser. Gromit raddrizza le orecchie nel tentativo di passare per un pastore tedesco, noi come un solo uomo dichiariamo in un tedesco maccheronico di arrenderci senza condizioni, che siamo grandi fan di Angela Merkel e che disapproviamo gli irrispettosi colpi di testa del nostro presidente del consiglio.  L. offre pateticamente di tagliare del 10% le sue spese per generi voluttuari, rinnega il Genoa dichiarandosi tifosissimo del Wolfsburg e conclude giurando e spergiurando che non berrà più dolcetto ma solo Weissbier germanica.

La discussione  viene interrotta da una cagnetta nera che comincia a provocare in modo piuttosto esplicito il malcapitato Gromit. Dopo un paio di salamelecchi il quattrozampe non ce la fa più, e i due fuggono assieme.
Restiamo noi e il gruppetto di militari. La cui disciplina, intanto, si dimostra non è esattamente teutonica: una signora in divisa da parà comincia a richiamare in bergamasco la cagnetta, il cecchino si accende una Marlboro e gli altri spariscono in quella che noi credevamo una casamatta, ed è invece un banalissimo posto tappa AVML.  Concludo trattarsi di un gruppetto di amanti delle ricostruzioni storiche venuto a metter in scena Diosolosacosa tra i bruschi dell’alta val d’Aveto.

Sollevati, usciamo dal paesino e imbocchiamo a destra lo sterro che sale verso l'Alta Via. La cagnolina nera si accoda. Vari tentativi di convincerla a tornare dai suoi padroni falliscono. Non ci resta che portarla con noi. Il povero Gromit, che pregustava una tranquilla passeggiata condita con qualche tuffo nei rii del Liciornio, per un po’ sta al gioco, poi, come ogni vero uomo, si stufa dell’insistenza femminile, e passa ad occuparsi di altre e più serie faccende (buche, rami da trasportare in bocca, tuffi nei ruscelli).

La gita si complica subito.  Il sentiero finisce nel fiume e iniziamo il solito aggiramento in alto sulla sponda. Un muro di rovi ci spinge a salire un po’ più in alto del solito. Poi ancora un po’, e poi di nuovo ancora un po’. Alla fine ci smazziamo una ravanata da 100 metri di dislivello per la massima pendenza (non modesta). Immaginiamo il sogghignante spirito del mitico S. farsi beffe di noi.  Alla fine, però, siamo bravi: riusciamo a svoltare, a venir fuori dalla giungla vietnamita e a sbucare nella faggeta. Con un azimuth magistrale, andiamo a raggiungere il sentiero ben in altro sopra, senza perdere troppa quota. Intanto, le mie ginocchia hanno salutato la compagnia, se ne riparla tra qualche giorno.

Traccheggiamo ai Casoni, poi sull’Alta Via sino all’ultima rampa. A. e Gromit, che si sono sganciati in avanti, scompaiono. Dopo un po’ fortunatamente il telefono trova il segnale. Hanno ceffato un bivio, distratti ambedue (pare) dall’incontro con un’avvenente escursionista con cane. Ci si rivede in cresta.
Mi dopo solo quel tanto che serve per spararmi a passo da 8000 senza bombole gli ultimi 150 metri di dislivello. All'alba delle 14 spuntiamo in vetta.  Ci sono circa altri 10 canidi compreso un incrocio tra un rottweiler e un cammello.  Per evitare guai lego accuratamente Gromit al parafulmine.  Cinque minuti dopo eccolo che spunta ineffabile col guinzaglio in bocca.   Azzardiamo le più disparate ipotesi su questo numero da Houdini, ma alla fine non ci resta che abbozzare davanti al suo sogghigno sarcastico.
Chiamo i patroni ti kagnetta, che ringraziano e attentono nel bunker della Fentarola il ritorno nostro e della malcapitata, alla quale, mi preannunciano, sarà inflitta la ciusta punizione.
Intanto attacchiamo i saliscendi della cresta. 30 cm di foglie secche riempiono il sentiero. Si sta in piedi per miracolo, e, puntualmente, appena la discesa prende pendenza, faccio un formidabile volo: decollo, plano in orizzontale perfetta e cado a terra come un sasso. Non mi faccio niente, ma piego un bastoncino. Non male, li avevo appena ricomprati dopo aver perso le 15 paia precedenti.

Ed eccoci alla Ventarola. Mentre attraversiamo quell’ultimo ponte, una voce urlacchia “ altolà, chifalà? Non muofete,  kvesto è ponte minato si foi fate ankora passo noi salta!”.  Mi salva la parola d’ordine concordata telefonicamente “Sturmtruppen”.  Entriamo trionfanti in paese. Mentre i patroni rinkraziano, la cagnolina viene presa in consegna da un paio di truci figuri con grembiuli insanguinati; non è chiaro se siano cuochi del posto tappa o addetti all’ufficio confessioni. Gromit, nel dubbio, si allontana rapidamente.  Lo seguiamo convinti, guardiamo con malinconia la BMW da 90.000 euro del Truppenfuhrer e ce la filiamo rapidamente alla macchina.

Primo bar sul radar, ai Brugnoni.  Inchiodata e posteggio da formula 1. La sete è belluina e ipotizzo una salubre Panachée.  Il bar è formidabile. Quattro o cinque guru del bottiglione pascolano davanti al banco.  La padrona, sulla sessantina, tinta, chiaramente ex bella del paese e ormai tipica esponente della sobria, ma sincera, ospitalità ligure.  Pesco dalla vetrinetta una Moretti piccina picciò, ma non vedo la Sprite. Chiedo timidamente alla padrona se ne ha.  Ligurissima la risposta: “Se ce n’è, è lì”.  In un recanto scopro una gazzosa no-brand e la arraffo. Ci vuole del bello e del buono a convincere la Marilyn della Scoglina a darmi addirittura un bicchiere. Mescolo attentamente moretti e gazzosa. La vita torna a sorridermi.
Il sorriso, però, si smorza quando scopriamo che, mentre perdevamo tempo sul Ramaceto, in quegli stessi locali si svolgeva un’imprendibile festa del bollito misto, con prequel di polenta e luganega e selezione di vini che spiegano le condizioni degli altri avventori.  Umiliati, ci rimettiamo alla via rimpiangendo disinformazione e incapacità di cogliere i segni del fato (la ravanata era un chiaro invito a tornare indietro, ma noi, testoni...)

Dopo un’ incredibile coda dalla Scoglina fino a Monleone, ariamo la Spinarola e piombiamo a Recco.
Salutati gli amici, io e il mio compare arranchiamo per la scale di casa. Tolgo le ginocchia dallo zaino e apro il frigo. Abbandonata e malinconica, una solitaria 0,66 di un’infima sottomarca prodotta ad Alà dei Sardi. Mi dò da fare per consolarla. Nel Bimby, un gateau di patate sembra creare qualche problema. Il perfido intanto festeggia a pasta, carne e Muller Thurgau messi immediatamente a sua disposizione. Penso che il mondo, a volte, è profondamente ingiusto.

Epperò, che gran  giornata !

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