Il colle delle vergini suicide
Il Lago di S. Anna (la foto è di Piero Civico) |
Le trattative per la scelta del
percorso di sviluppano a cena la sera del venerdì. Davanti a un piatto di
tagliolini con gamberi e zucchine scegliamo, teoricamente, la val Maira.
Teoricamente perché al gelato M., che è da anni il principale interessato allo straclassico anello del Passo
della Cavalla, dà forfait.
Ce la metto tutta: mangio il giusto,
bevo il minimo sindacale, alle 22.30 torno a casa e mi ficco a letto.
Vengo comunque punito per l’incauta
scelta di una sia pur modesta ribotta ante gita: mi rotolo nel letto
controllando con ansia quanto mi resta da dormire prima delle 5.30: il
risultato è una notte bianca casareccia in cui l’unica attrazione è
guardare la sveglia.
Alle 5.30 io, P. e Gromit partiamo regolarmente, si fa per
dire: sono stravolto e devo guidare. Raccattato
C. nel ponente genovese, ci avviamo verso il primo autogrill operativo per un indispensabile
caffè. In macchina, decidiamo di puntare sul non meno classico anello dei laghi
di S. Anna di Vinadio. L’ho già fatto un paio di anni fa, ma il giro è talmente
bello che merita tornarci.
Ottengo l’inversione del senso di
percorrenza, da antiorario ad orario.
Intanto, pago il conto della nottata
insonne. All’altezza di Borgo, comincio ad accusare un sonno furibondo, e sono costretto a chiedere il cambio. Gromit non collabora, a quel punto interviene un compresissimo P. che
si mette alla guida. La Zafira manifesta sdegnata tutti i suoi dubbi sullo
stile approssimativo e anche un po’ malmostoso del nuovo pilota.
Sono convinto di arrivare al
Santuario e sdraiarmi nell’erba a dormire per il resto della giornata.
Invece, mi riprendo; decido di
provare a camminare almeno un po’ con gli amici. Il percorso mi è amico: la
strada militare sale tranquilla fino al passo di S. Anna e poi a quello del
Lausfer
Soffio spuncio tiro sulla rampetta
sino al passo Saboulè, preceduta da qualche chiazza di neve.
Al colle decido per il meritato
riposino. Mentre C. e P. puntano ambiziosamente su un improponibile montarozzo sopra il passo, estraggo il
miserabile pranzo che ho ficcato nello zaino la sera prima. Gromit posa la
zampa sul mio braccio e mi fissa con occhi languidi. Gli offro un cracker (pure
di marca), ma si volta disgustato. Il parmigiano, invece, lo trova più
interessante e se lo fa fuori quasi tutto. Consumo quel che mi resta nello zaino - un po’ di crackers
e acqua del rubinetto. Mi dedico finalmente a una bozzatina rigenerante sotto
lo sguardo sufficiente dell'avvoltoio.
Dopo qualche minuto il fedele
quattrozampe richiama la mia attenzione. Immagino sia per il caffè, e
garbatamente gli spiego che non ne abbiamo.
Un ulteriore contatto col nasone bagnato mi convince a tirarmi su.
Sul nevaio prima del colle arrancano una dozzina di persone tutte rigorosamente in maglietta verde
fluo. Dò all’ipossia da alta quota (siamo quasi a duemilacinquecento metri) e al
fisico minato da fame e stanchezza la colpa di quella che, evidentemente, è un’allucinazione.
Decido di prendere tempo e mi volto dall’altra parte. Intanto, sbucano C e P., che ammettono di vedere anche loro i dodici in divisa verde. Dopo ampia
discussione, concludiamo che i cannoli
consumati all’autogrill dovevano essere imbottiti di LSD avariato. Mentre
aspettiamo di varcare definitivamente le porte della percezione, ci rendiamo
conto che le allucinazioni sono molto verosimili: avanzano slittando sul
nevaio e, quando siamo a distanza di una ventina di metri, riusciamo a leggere
sulla maglietta sociale la fragorosa scritta “ADDIO AL CELIBATO DI FRANCESCA”.
La prima illusione ottica, 1 mt. e 60
x 50 kg di stazza lorda, ci raggiunge e ci
chiede pacatamente se c’è ancora neve dopo il colle. Guardandola bene, sembra
una ragazzina reale. La seconda scivola e impreca. L’ipotesi che siano vere
comincia a farsi strada. Quando alla fine appare la festeggiata, con apposita
maglia IO MI SPOSO DOMANI, prende quota. La tipa e le sue damigelle confermano
che trattasi di gita per il suo addio al nubilato. Facciamo la domanda chiave:
da dove venite? La risposta “siamo langarole” dissipa ogni dubbio: a nessuna
illusione ottica e neppure a nessun alieno verrebbe in mente di definirsi
langarolo, né di circolare su un nevaio in maglia verde e Superga bianche.
Constatata la giovanissima età e la
totale inadeguatezza delle calzature della nubenda e delle sue accolite,
cerchiamo di comportarci in modo responsabile. I soli pendii pericolosi del
giro sono quelli che le ignare damigelle hanno già attraversato. Rispedirle
indietro significherebbe, probabilmente, far saltare il matrimonio. Come un sol
uomo, le tranquillizziamo sul resto del percorso. Intanto Gromit fraternizza in
cerca di un rinforzino allo scarso companatico che ha arraffato poco prima.
Le dodici fanno spallucce e si
dirigono ridacchiando al passo.
I primi merenderos con borsafrigo, suocera e chihuahua ringhianti ci aspettano al lago sopra il Santuario.
Arrivati alla macchina, P. , dall’alto
della sua leggendaria esperienza, suggerisce di partire immediatamente per
evitare code di camper, pullman di pellegrini e bikers incarogniti. Ubbidiamo, rotolando veloci sino a fondovalle,
dove al primo bar utile mi scolo una biblica Panaché.
Così tornato finalmente in me stesso, conduco la
truppa a destinazione a un’ora ancora civile.
Terminato il debriefing, decido per uno
spuntino. Il frigo è vuoto. C’è giusto un po’ di parmigiano che non avevo messo
nello zaino. Lo prendo e mi siedo a tavola.
Zampa sul braccio, occhi languidi e
naso gelido.
Inserisco tutto il cibo nell’apposita
fessura e mi rassegno a guardare a stomaco vuoto le ultime di calciomercato.
Robinho è ancora dei nostri, Iturbe
non lo diventerà mai.
Domani, però, è domenica.
Commenti
Posta un commento